San Francesco in Meditazione                         - la ricerca del prototipo

Visto l'interesse per l'origine dell'invenzione iconografica e l'attuale stato degli studi sulla ricerca del prototipo riportiamo le versioni attualmente in discussione fra gli studiosi con alcune note, comunque ad oggi la accesa querelle su quale versione possa considerarsi il prototipo è ancora aperta:

 

Negli studi su Michelangelo Merisi detto il Caravaggio (1571–1610) quello del San Francesco in Meditazione  (1606, sulla datazione non c’è accordo) è il caso in cui la critica da più tempo è divisa, specie fra le prime due alle quali si è aggiunta dal 2006 (mostra di Düsseldorf) la versione ora esposta a Lugano. Si conoscono almeno altre sette riproduzioni di tale iconografia: testimoni del successo iconografico del prototipo e dell'alta considerazione dell'inventore. Non esiste una documentazione biografico-storica che attesti l'iconografia specifica, tuttavia si sa che il pittore si sia particolarmente dedicato a S. Francesco. Esistono altre raffigurazioni del Santo:  mentre riceve le stimmate o S. Francesco e l'Angelo o S. Francesco in Estasi commissionato dal cardinale Francesco Maria del Monte e in relazione sia alla volontà del committente, che con il clima riformistico, che teneva proprio al rilancio della fede attraverso la figura del Santo. 

Michelangelo Merisi da Caravaggio 

olio su tela

92,5×128,4 cm

Wadsworth Atheneum, Hartford (Connecticut)

Michelangelo Merisi da Caravaggio

olio su tela

130×90 cm

Museo civico Ala Ponzone,Cremona



Fabio Scaletti ha definito questa versione "la più shakespeariana per la sua drammaticità schietta, intima e al contempo universale (del resto è proprio in quegli anni che, attraverso le parole anziché i colori, il grande poeta inglese aveva costretto l’uomo a fare i conti con la sua invincibile debolezza...

Fabio Scaletti, Una poltrona per due. Il caso del San Francesco in meditazione di Michelangelo Merisi da Caravaggio, pp.1-8 ( senza data ) sta in : http://www.assonet.org/caravaggio400/sanfrancescoinmeditazione.pdf


 

Santa Maria dell’Immacolata Concezione

(Museo/Chiesa dei Cappuccini), Roma

128,5 x 97,6 cm 


La prima versione nota del San Francesco in meditazione di Caravaggio venne scoperta nell'Oratorio Francesco de Rustici di Santa Maria della Concezione in Via Veneto a Roma e inserito nel corpus di Caravaggio nel 1908 da Giulio Cantalamessa: “Penso che davanti a questo quadro si deve senza esitazione pronunziar il nome di Michelangelo da Caravaggio”, 1908, pp.401-402 (UN QUADRO DI MICHELANGELO DA CARAVAGGIO, in Bollettino d’Arte del Ministero della P.Istruzione, Anno II, Fasc. XI, notizie delle gallerie, dei musei e dei monumenti, Roma - MCMVIII).

Sul retro del dipinto venne ritrovato un cartellino dell’epoca, che menzionava il dipinto, ”sto quadro”, senza citare Caravaggio, ("Il S.re Francesco de Rustici da sto quadro a i padri Capucini con tale ..... /nd .. che n..n ..si possi dare a nisuno. ” - "Ne consegue che il Rustici vuole compiere solo un gesto di devozione nei confronti dei cappuccini, da lui sovente beneficati, donando un’immagine che non doveva essere ceduta a nessun titolo, in quanto contemporaneamente memoria perenne di lui stesso, Francesco, e del fondatore dell’Ordine - volontà a tutt’oggi rispettata”: Maurizio Marini, Caravaggio, pictor praestantissimus ,Newton & Compton editori, maggio 2001, Roma, Scheda Nr.105 note pag. 562-565). Maria Barbara Guerrieri Borsoi, Marco Pupillo e Lothar Sickel hanno restituito un profilo attendibile del donatore: Francesco de Rustici, devoto a S.Filippo Neri e a San Francesco (santo eponimo) era "impegnato nella più importante associazione assistenziale filo-pauperista dell'epoca a Roma": l'Arciconfraternita della SS Trinità dei Pellegrini e Convalescenti a Roma (dal 1566 ca). Marco Pupillo ha anche ricostruito il grave dissesto finanziario del Rustici (dal 1586): tale da non poter finire i lavori della cappella di famiglia in S.Maria sopra Minerva, che venne declassata ad ambiente di passaggio con l'apertura di una porta (ca.1600). Fu costretto dapprima di affittare il suo Palazzo e poi a venderlo al Cardinale Ottavio Paravicino. Particolare evidenziato sia dalla Guerrieri Borsoi, che da Pupillo, che il nome Caravaggio non viene menzionato né nell'inventario del testamento, né nell'atto di donazione. Inoltre il dissesto avrebbe certamente portato il de Rustici a vendere il dipinto per sodisfare i suoi creditori. Alessandro Zuccari ipotizza (1990)  che il de Rustici abbia donato questo dipinto ispirato alla religiosità cappuccina al convento di S. Bonaventura (trasferitasi ca 1640), da sempre inviati dalla confraternita del Rustici fino a confluire in una formale aggregazione documentata (ca.1600).


Cartellino di grafia secentesca il nome del donatore, Francesco de’ Rustici, e la sua raccomandazione ai frati di non dare il dipinto ad alcuno- citato da Cantalamessa  perduto poi riscoperto con il restauro del 2000.


La maggior parte degli studiosi ritengono che questa versione romana sia una copia, più 'addolcita' e 'piacevole', probabilmente commissionata dal Rustici. A comprova vi è il fatto, che è privo di pentimenti, tuttavia è ritenuto anche autografo di Caravaggio da parecchi esperti, fra i quali Keith Christiansen.

La Vodret evidenzia l'uso della luce qui più forte e chiara ad esaltare la volumetria delle forme, che appare pertanto più vicino alle opere romane.

Inoltre fa anche notare la differenza fra l’esecuzione dei cordoni del saio: sommaria, un semplice tratto di pennello sul quale sono delineati i motivi della corda nel quadro romano, mentre nel quadro di Carpineto è costruita accuratamente, con singole pennellate.


Riflettografia infrarossa del cordone del saio nella versione romana: il cordone eseguito con una lunga pennellata chiara con leggero tratteggio della corda. Il colore è applicato in maniera quasi uniforme e piana.


Sempre la Vodret fa notare che in questa versione romana la toppa sul saio appare solo una leggera ombra:

Particolare toppa del saio- versione romana- solo accennata. Le velature sono leggere.

Questa versione è certamene  più ‘bella’ e piacevole la figura più addolcita, tornita da una luce calda. La stesura pittorica è più sottile ed il colore più uniforme e tonalità giallo-rossiccia con velature brune (v. Giantomassi).  Questa ‘piacevolezza’ viene spesso scambiata per qualità stilistica traendo in inganno sull'attribuzione. 

Chiesa di San Pietro di Carpineto Romano, 

ora Gallerie Nazionali di Arte Antica

 – Palazzo Barberini, Roma

cm 128,2 x 97,4 

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Maurizio Marini nel 1967 e Maria Brugnoli nel 1968 si contendono invece l’onore della scoperta a Carpineto Romano, ai tempi feudo del Cardinale e Camerlengo di S.R.E. Pietro Aldobrandini (1571-1621), nipote di Clemente VIII, di una seconda versione, inchiodata in una parete ed in pessime condizioni, nel coro della Chiesa dedicata a San Pietro. 

In nessuna delle versioni note del San Francesco in meditazione conosciamo con certezza la data dell’esecuzione. 

Un' elemento certo, sempre citato è il prestito di un saio da francescano che Caravaggio ricevette da Orazio Gentileschi nel 1603  (oltre ad un “par d’ali”), che evidentemente furono utilizzati come modello per un dipinto in corso di realizzazione. Si sa inoltre che Caravaggio è in fuga da Roma nel 1606, dopo l’uccisione del Tomassoni nel famoso duello della pallacorda -nel 1608 si trova a Malta e poi in Sicilia e quindi fino alla metà del 1610 a Napoli, nel secondo soggiorno partenopeo (!). 

Fugge nei feudi Colonna, confinanti con quelli degli Aldobrandini, fatto che fa ritenere una possibile commissione Aldobrandini, ma vi sono discordanze ed una particolare attenzione alla cronologia si impone: Aldobrandini fu dal 1600 al 1604 Legato pontificio a Ravenna e subito dopo, dal 1604 al 1608 Legato a Ferrara; 

Le analisi tecniche effettuate nel corso del restauro (2000) hanno dimostrato che il cappuccio  iniziale era stato dipinto a punta con destinazione iniziale legata all'Ordine dei Cappuccini. In un secondo tempo il cappuccio venne trasformato in quello dei frati minori riformati, nuovi titolari dell'edificio sacro.

Secondo la Brugnoli tale modifica è legata alla destinazione della chiesa e alla committenza. 

La chiesa di san Pietro di Carpineto venne pensata non prima del 1610 - inizialmente per i Cappuccini, poi l’anno successivo definita per i Minori Riformati, e non a caso dedicata al santo eponimo dell’Aldobrandini, cioè san Pietro.

I lavori iniziarono nel 1613 e terminarono nel 1616, poi nel ’17 venne commissionato il portale esterno. Se dunque la chiesa venne terminata nel ’16 ci si chiede quando il dipinto possa essere stato allocato nella sagrestia e dove si trovava fino all'ultimazione.

Inoltre non esiste traccia in nessuno degli inventari Aldobrandini neppur seguendo la traccia degli incroci matrimoniali con altre nobili famiglie romane (Borghese, Pamphilj) se ne ha notizia...



L’uso delle caratteristiche incisioni ed altri leggere correzioni fanno si che molti studiosi, fra le quali Rossella Vodret ritengano la versione di Carpineto Romano il prototipo del soggetto.

A sostegno di questa tesi la Vodret evidenzia che il cordone è costruito accuratamente, con singole pennellate contrario di quella romana (cfr. riflettografie).


Riflettografia infrarossa del cordone del saio nella versione Carpineto: il cordone è definito nei dettagli  chiaro scuri. Il colore è materico, corposo, dall'effetto reale, quasi 'tridimensionale'.


La stessa osservazione viene rivolta ai panneggi ritenuti dalla Vodret di qualità stilistica più elevata eseguiti qui secondo la caratteristica tecnica a risparmio: tutte le parti in ombra e lo sfondo sono tralasciate a livello della sola preparazione.

In relazione alla toppa sul saio la Vodret evidenzia la compiutezza realistica nel dipinto di Carpineto:

 

Particolare toppa saio - versione Carpineto- compiutezza realistica con un impasto di colore denso.

Altro particolare realistico rimarcato dalla Vodret: nella versione di Carpineto la presenza del rosso cinabro, usato  sul naso e sulle orecchie di San Francesco, rosse dal freddo umido del luogo: il monte della Verna. 

Questa versione, sempre per la studiosa, è segnata da una luce livida e tagliente e risulta pertanto aspro, duro ed essenziale, quindi più simile ai dipinti più tardi. Per apprezzare la versione di Carpineto bisogna abbandonare il trinomio: qualità-bello-'piacevole' a favore di un realismo più cruento nei suoi particolari.  La Vodret ritiene questa versione di Carpineto di grande effetto e suggestione: Francesco è solo di fronte all’immagine della morte.

 

AA.VV. Caravaggio nel patrimonio del Fondo Edifici di Culto: Il doppio e la Copia,2018, Gangemi editore 

 Collezione privata

(ex Cecconi)

cm 136x91 

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Ferdinando Bologna, a differenza della maggior parte dei critici, ritiene che il prototipo caravaggesco non sia stato ancora trovato e che i due dipinti siano solo delle ottime copie (Ferdinando Bologna, L'incredulità di Caravaggio e l'esperienza delle cose naturali, Torino, Boringhieri, 1994, ed. aggiornata 2006, p. 331 ).

Il dipinto oggi esposto in Chiesa a Lugano, proviene dalla collezione Cecconi. 

Solo grazie alle analisi ed indagini (radiografie) eseguite in occasione della mostra a Düsseldorf del 2006 questa versione venne riconosciuta da diversi esimi studiosi come prototipo, in quanto, oltre a rilevare la coincidenza con la tecnica pittorica personalissima del Caravaggio: p.es. in tutte e tre le versioni vi sono le caratteristiche incisioni sulla tela eseguite con il manico del pennello o stilo al posto di un disegno preparatorio, per inquadrare la scena da dipingere. L'uso di materiali diversi nel strato preparatorio (sabbia, terre...). L'abbozzo preliminare è spesso definito con strati sottostanti di biacca, ossia un pigmento pittorico inorganico costituito da carbonato basico di piombo, ben visibile nelle radiografie, specie in questa di collezione privata.   Le radiografia hanno evidenziato cambiamenti concettuali di tale importanza ed evidenza nella creazione dell’immagine, che vanno ben oltre i pentimenti compositivi o le correzioni pittoriche, da non lasciare adito a dubbi: p.es. al posto del teschio vi era un libro e dove ora è posato il crocifisso vi era il teschio, mentre nella parte in alto a destra del dipinto vi era il crocifisso. (vedi illustrazione della restauratrice Silvia Cerio). Sulla posizione del crocifisso Matteo Marangoni cosi si esprime: “niente di più caravaggesco della croce poggiata in isbieco”, (1922).

L'esecuzione della croce tuttavia varia molto da versione a versione : in quella romana è fatta a mano libera dalla prospettiva ben definita, mentre quella di Carpineto è geometrica a biacca, che tuttavia presenta una imprecisione: l'andamento dell'asse centrale non è allineato fra la parte superiore ed inferiore.  Nella versione privata invece l'asse centrale della croce nella parte inferiore viene leggermente incurvata verso il basso, ottenendo in tal modo un raffinato effetto ottico: la croce segue il punto di osservazione.



Riflettografia infrarossa del cordone del saio nella versione privata: il cordone è definito anche qui nei dettagli chiaro scuri. L'applicazione del  colore è più simile a quella di Carpineto - la risoluzione è qui più bassa delle altre due paragonate.


p.es. la tecnica a risparmio, ossia lasciando per la penombra/ombra o lungo i profili degli incarnati e delle vesti la preparazione scura, accelerando al contempo l'esecuzione esaltando le parti in luce. Questa esecuzione è usata in questa versione persino nel particolare della toppa, dove la tela sottostante viene utilizzata per ridare realisticamente la trama del saio:

Particolare toppa saio - versione esposta a Lugano- compiutezza realistica data dalla tecnica a risparmio, che fa intravedere la tela del dipinto, quale trama del saio. 

La restauratrice Silvia Cerio intervenuta il 15 febbraio scorso a ben illustrato tali pentimenti paragonando le rispettive radiografie dei dipinti (vedi video in sul dipinto). 

Non manca “la presenza della preparazione bruna ricordata dal Bellori e dei granuli di sabbia”. Questa versione risulta inoltre ampliata nella parte verso il teschio, come risulta dal descrittivo del restauratore e riconfermato da Silvia Cerio.

La Dott.ssa Giancotti ha molto ben descritto questa iconografia: Su questa croce non si piange il Cristo morto. La croce, in tempi antichi, aveva rappresentato la pena, la tortura e la morte, ma in tempi ancora più remoti era la combinazione della barra verticale, cielo-terra, e di quella orizzontale, l’umanità vivente sulla superficie della terra. La croce è la combinazione, non lineare, di due barre, non uguali, non contrarie. La figura “retorica”, non geometrica, della croce è l’ossimoro, non l’aut-aut.

La croce di Caravaggio, i cui bracci sono differenti, è la croce da cui procede la resurrezione.

Il teschio, impropriamente associato alla vanitas e alla caducità della vita, cessa la sua funzione di significazione della morte con la resurrezione...qui, ...,la postura orante di Francesco non contempla e non conferma la morte.

La preghiera è anzitutto il modo del ringraziamento, dice Carlo Borromeo, nelle sue omelie e nelle sue istituzioni. Ed è costante, senza interruzione.

La formula “sorella morte” di Francesco dice che anche il teschio fa parte della vita, poiché il suo destino è la resurrezione...

E la speranza, in questa tela, si nota da quel filo d’erba (quadrifoglio?) che, in basso a destra, comincia a germogliare da un terreno che sembra non dare frutti. E anche un fiore si mostra più in là.

La speranza  si nota da quel filo d’erba (quadrifoglio?)  in basso a destra e un fiore sempre sulla destra.